I trasporti si fermeranno di nuovo? Ecco a chi dovrete dare le colpe

L’Italia sta correndo un grave e sempre più reale rischio, quello di un nuovo fermo delle imprese di trasporto. Un rischio ormai vicinissimo, considerato che il conto alla rovescia è già partito da troppo tempo e che il termine ultimo per avere risposte concrete, e non solo facili promesse, è fissato per la prossima settimana (questa è la scadenza che il sottosegretario Bartolomeo Giachino si è preso).  Se per allora il Governo continuerà a dimostrare di non saper comprendere il senso delle proposte che le associazioni più rappresentative dell’autotrasporto da tempo stanno avanzando, il blocco appare inevitabile. E a evitarlo non aiuta certo la ricostruzione che il vice presidente di Confindustria con delega a Infrastrutture, Logistica e Mobilità,  Cesare Trevisani, ha provato ad effettuare nel suo intervento pubblicato sul Sole 24 Ore di martedì 4 maggio. Le imprese di autotrasporto intendono completare il sistema di liberalizzazione regolata avviato con la legge 32 del 2005. Riforma, ricordiamolo, impostata su tre cardini: il rispetto delle regole sulla sicurezza sociale e della circolazione; la responsabilità condivisa tra tutti i soggetti della filiera; i controlli da assicurare nei confronti di tutti, committenti inclusi. Fino a oggi, anche per l’inerzia del precedente Governo che ha congelato tutti i passaggi previsti, poco o nulla è stato attuato. E scarsi risultati hanno prodotto anche le tre intese sottoscritte con l’esecutivo in carica. Ora non si può tergiversare. Non è sufficiente condividere i titoli degli interventi da realizzare, come ha provato a fare il vice presidente di Confindustria, per realizzare le soluzioni concrete, cardini della riforma. Occorre invece individuare norme che realmente raggiungano l’obiettivo. Sono tante le contraddizioni in evidenza nei comportamenti della committenza. Noi ne evidenziamo alcuni per fornire al Governo motivi di riflessione nella speranza che gli sia da stimolo per darsi il coraggio di decidere. Confindustria sostiene di essere favorevole a intese tra le parti, ma dimentica che è stato proprio grazie a un intervento dei propri vertici se l’accordo per il settore chimico, raggiunto tra le parti interessate, non è stato poi sottoscritto.  Ancora: non si può sostenere di voler risolvere la questione del trasporto bancali (che avviene oggi senza regole, in situazioni nelle quali si favorisce il mercato nero e il possibile riciclaggio di denaro sporco, senza riconoscere ai trasportatori alcun corrispettivo per la merce, perché sempre di merce si tratta) e poi introdurre una disposizione che di fatto mantiene gli operatori in condizione di evidente sudditanza e quindi non in grado di ottenere quanto dovuto. Semplicemente contradditorio è poi affermare che si deve mantenere la libertà contrattuale delle parti e poi non condividere la proposta di stabilire un tempo congruo entro il quale debbano essere definiti, non delle nuove tariffe obbligatorie come sostiene Trevisani, ma proprio quei parametri dei costi della sicurezza indicati dalla legge, da applicarsi solo se dopo il confronto tra le parti nell’Osservatorio istituito all’interno della Consulta non emergeranno risposte positive. Confindustria confonde la sicurezza con un’esigenza di una forte corporazione e in sostanza chiede di poter avere le mani libere, di non essere coinvolta nelle responsabilità, dimostrando che il valore della sicurezza è solo una tesi da sostenere nei convegni. La domanda che ancora una volta ci sentiamo di girare al Governo è se sia giusto favorire dei comportamenti simili correndo il rischio di inasprire una vertenza ormai a un passo dalla rottura. Con la conseguenza di non poter poi percorrere altre strade se non quella che mira a ottenere non più parametri ma tariffe inderogabili trasparenti e certe. Quelle che il Governo si appresta a riconoscere per gli avvocati, per i notai…

Paolo Uggé

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