I ticket d’ingresso nelle città d’arte penalizzano il rilancio del turismo

Come ogni anno, Pasqua vede migliaia di visitatori riversarsi nelle città d’arte della quale il nostro Paese è ricco. Un’anteprima di quanto accadrà con l’estate, quando  i flussi di turisti si intensificheranno ulteriormente. Non c’è dubbio che il turismo sia uno degli asset importanti per l’economia nazionale e quanto sia condiviso tale assunto dal Governo in carica lo si evince chiaramente dalla istituzione del ministero del Turismo che ha portato l’onorevole Michela Brambilla a ricoprire il ruolo di ministro. Tutto lascerebbe pensare che anche per il turismo si intenda finalmente procedere  secondo una logica di sistema, mettendo in rete le offerte di alberghi, gli itinerari e, ci auguriamo, anche i servizi di trasporto. Il tutto in modo da realizzare una politica di accoglienza turistica in grado di competere ad armi pari con i nostri concorrenti. Quella che dovrebbe apparire a tutti una via obbligata, sembra invece non trovare riscontro nei comportamenti  degli amministratori di diverse città d’arte che sembrano puntare di più al fare cassa, tanto da introdurre forme di penalizzazione nei confronti dell’attività  di trasporto collettivo privato, con l’introduzione di tasse di ingresso nei centri urbani, per condivisibili obiettivi come quello di combattere l’inquinamento o di tutelare la sicurezza della circolazione. In realtà anche un neofita può facilmente comprendere come una ventina circa di autovetture, assumendo a riferimento una media di due persone per ogni auto, abbiano un potere d’inquinamento assai superiore di un bus che trasporta una cinquantina di passeggeri; e   anche per quanto riguarda la fluidità della circolazione  e la sicurezza, i dati sugli incidenti non coincidono con la teoria, visto che il tasso di incidentalità è a tutto svantaggio delle autovetture. Dunque?
Un ulteriore dubbio sorge sul senso reale della norma e parte dalla semplice constatazione che, nella gran parte dei casi, la tassa non è rapportata al livello di inquinamento prodotto dai bus. Ma l’elemento ancor più da stigmatizzare, è che la misura non assicura parità di trattamento tra gli operatori nazionali e i loro concorrenti esteri, spesso dotati di automezzi non tecnologicamente adeguati e maggiormente inquinanti. Il motivo è semplice: i vettori nazionali sonno rintracciabili nel Ced (il Centro elaborazione dati) della Motorizzazione; quelli di provenienza estera no. Nessun Comune è abilitato a richiedere al ministero dei Trasporti elementi per consentire l’identificazione del proprietario del bus che senza pagare la sovrattassa ha lasciato il centro cittadino. Quindi gli operatori nazionali pagano, gli esteri no. In sostanza: si penalizza l’attività di imprese nazionali a vantaggio, il più delle volte, di concorrenti esteri;  non si favorisce il ricambio dei veicoli meno inquinanti, la tassa non è quasi mai rapportata alla motorizzazione del veicolo; non si danno servizi in cambio di una tassa che operatori versano alle amministrazioni pubbliche, né parcheggi, né servizio di custodia. Elementi che speriamo siano affrontati in una prossima riunione fissata per il 12 aprile a Palazzo Chigi con al centro dell’agenda dei lavori proprio la questione dei ticket per l’ingresso nei centri urbani.
La Fai Conftrasporto ritiene importante aggiungere un tema alla valutazione degli esperti, tra i quali non sembra abbiano “diritto di cittadinanza” i rappresentanti degli operatori dei bus turistici: la realizzazione della  filiera del turismo, che includa anche l’attività del trasporto persone. Considerare il trasporto effettuato con autobus a noleggio,  parte essenziale dell’offerta turistica offrirebbe un servizio completo, eviterebbe ai visitatori di essere gravati da costi aggiuntivi e di pesare sui bilanci delle imprese che effettuano servizi con i bus turistici e che, per non perdere in competitività, se ne accollerebbero l’onere. Impariamo dalle grandi città estere dove non esiste alcuna sovrattassa. A  Londra e a Oslo  si paga una tassa legata al grado di inquinamento; a Salisburgo la tassa di ingresso, è un quarto di quella dovuta mediamente in Italia e assorbe anche il pagamento del parcheggio; Parigi non impone alcun sovrapedaggio di ingresso ma richiede solo il parcheggio. La strada da percorrere, se si vuole rilanciare un’attività fondamentale come quella del turismo, è quella che conduce a ragionare per logica di sistema. Smettendola di pensare per singoli settori o per interessi locali.

Paolo Uggé

2 risposte a “I ticket d’ingresso nelle città d’arte penalizzano il rilancio del turismo

  1. Questa tassa ha un duplice effetto negativo. Il primo: incide in maniera elevata nell’offerta dell’agenzia che propone viaggi, la quale per essere competitiva va a strangolare tutte le attività ricettive abbassando ogni anno le tariffe per persona. Il secondo: penalizza sempre tutte le attività ricettive che sono nella stessa provincia della città (per esempio Venezia) nei confronti delle strutture ricettive interne al comune. Basti pensare che a volte il ticket del pullman per entrare in città, far scendere i clienti e uscire dalla città corrisponde a circa il 25/30 per cento della tariffa applicata dall’hotel all’agenzia per persona e quindi elimina ogni tipo di concorrenza. È una vergogna!!!
    E lo stato non interviene.

  2. Ma come faremo a invogliare i turisti a visitare le città d’arte se facciamo loro pagare dei soldi solo per arrivarci in pullman (e quindi con mezzi che evitano l’ingresso in città di decine di auto…?

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