La produzione di biocarburanti
potrà provocare davvero carestie?

Era chiaro che le discussioni e gli interventi sulla questione legata alla produzione di biocarburanti fossero solo apparentemente sopite, tant’è che non appena qualcuno si è permesso di riaccendere la luce sul problema, il fiume di informazioni e di polemica, anche con toni forti, ha trovato nuovo vigore. Al di là di talune iniziative che vedono il coinvolgimento di enti di ricerca più o meno noti a livello mondiale, che si stanno adoperando nell’individuazione di nuovi fronti e soluzioni alternative al petrolio – per esempio il  biocarburante derivato dalle alghe – il centro dell’attenzione è ancora prevalentemente occupato dal tema della produzione di biocombustibili da prodotti agricoli. Per esempio il biodiesel, ricavato da piante oleaginose come la colza o il girasole, oppure il bioetanolo ricavato da colture ricche di zuccheri o amidi come le barbabietole da zucchero o i cereali.
Il ruolo di “gigante” su quest’ultimo fronte è certamente del Brasile del presidente Lula, che nel 2007 aveva addirittura avviato e sviluppato un processo di certificazione dei biocombustibili con l’obiettivo di dimostrare che la loro produzione, nell’intera catena, rispetta criteri ambientali, sociali e lavorativi. Ma anche l’Unione Europea aveva fatto certamente la sua parte, impegnando gli Stati membri nell’adozione di queste fonti di energia rinnovabili con due direttive, la 2001/77/EC e la 2003/30/EC, e con obiettivi ben precisi, in termini di percentuali di utilizzo di biocarburanti rispetto a quelli tradizionali. Direttive che, avendo individuato il 2010 quale anno entro il quale raggiungere target fissati, visti i risultati raggiunti nel complesso dai Paesi del vecchio continente, non hanno raggiunto il loro obiettivo.
Un ritardo che ha provocato la decisione UE non solo di prorogare il termine al 2020, ma anche di incrementare la percentuale di incidenza di utilizzo dei biocarburanti, specificamente per autotrazione, dal precedente limite del 5,75 per cento al 10 per cento.
Una decisione fortemente contrastata da alcune Organizzazioni non governative, impegnate storicamente contro la fame nel mondo. Tra quelle in prima linea, la ActionAid UK di primo piano con sede a Londra e uffici di rappresentanza e operativi in Asia, America Latina e Africa, secondo la quale, la decisione UE provocherà effetti devastanti proprio nel continente africano.
Secondo un recente rapporto ActionAid, datato  gennaio 2010, per il Fondo Monetario Internazionale la coltivazione delle materie utili alla produzione di biocombustibile, e in particolare quello destinato agli Stati Uniti, ha già provocato nel 2008 un incremento dei prezzi degli alimentari dal 20 al 30 per cento. La superficie di terra necessaria per la produzione di biocombustibili necessaria per il raggiungimento del nuovo obiettivo UE del 10 per cento, è di circa 17,5 milioni di ettari, pari ad un terzo della superficie della Francia metropolitana. Sarà, quindi, tanta la terra che non verrà destinata ai raccolti alimentari per le popolazioni più povere. E nel caso in cui Stati Uniti e Unione Europea – prosegue il rapporto ActionAid – continuino la loro azione politica, l’aumento del prezzo degli alimentari, potrebbe raggiungere il 76 per cento entro il 2020. Con la conseguenza che ben 600 milioni di persone saranno strette nella morsa della carestia, non solo per la mancanza di coltivazioni, ma anche per l’incapacità economica d’acquisto.
Dichiarazioni a dir poco catastrofiche. Ma a questo punto è giusto seguire le tesi del “verdi” che auspicano nel sempre maggiore utilizzo di fonti rinnovabili e meno inquinanti, che prevedono la pur lenta messa al bando del petrolio, che prima o poi scarseggerà (tesi ciclica di comodo per alcuni Paesi in relazione all’aumento del prezzo al barile, ndr), oppure dobbiamo guardare, anche se con grande timore, a un futuro che prevede l’utilizzo dei biocarburanti in modo sostanzialmente più rilevante?
La tesi di molti è quella che, in ogni caso, non bisogna fermare la ricerca. Numeri, proiezioni e ipotesi di scenari apocalittici non devono influenzare lo studio del futuro, ivi comprese quelle azioni che per alcuni pongono questioni “gravi”. Anche perché se si è consci degli effetti che possono derivare da alcune scelte, si dovrebbero studiare soluzioni che evitino scenari come quelli ipotizzati, per esempio, da ActionAid. Per ulteriori informazioni http://www.actionaid.org.uk/doc_lib/meals_per_gallon_final.pdf

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