Quando l’Eni di Mattei abbassò
il prezzo del petrolio di 5 lire

I consumatori attaccano, i petrolieri rispondono per le rime sul prezzo dei carburanti, ma ad avallare la tesi che dietro ai recenti aumenti del prezzo del petrolio ci siano le speculazioni in futures e in altri derivati sono anche l’ex sottosegretario all’Economia Mario Lettieri e l’economista Paolo Raimondi in un articolo pubblicato sul quotidiano economico Italia Oggi (www.italiaoggi.it). Articolo che si chiude con un passo indietro di mezzo secolo esatto, cinquant’anni fa, quando Enrico Mattei (nella foto) e la sua Eni abbassarono il prezzo del greggio per favorire la ripresa economica. “Mentre la domanda e il consumo di petrolio è globalmente diminuita – scrivono – in quanto si stima una riduzione del commercio internazionale del 9% e un calo del Pil di alcuni Paesi industrializzati del 5% e oltre, il petrolio è passato dai 35 dollari di marzo agli 80 attuali. Se una certa risalita era inevitabile per i costi base di produzione e di trasporto, si può comunque affermare che oltre i 60 dollari è tutta speculazione. Negli Anni 90 l’amministrazione Clinton aveva tenuto a lungo il prezzo del barile a 40 dollari, dichiarando di essere pronta a utilizzare le riserve strategiche americane per calmierare i possibili tentativi di aumentarne il prezzo. E allora c’era guadagno per tutti, dai produttori alle compagnie petrolifere.
Non bastano quindi i crescenti consumi della Cina e dell’India a giustificare una simile velocissima impennata dei prezzi. In un mese nell’economia mondiale è cambiato poco, ma il prezzo del petrolio è aumentato del 20%. Il James Baker III Institute dell’americana Rice University – si legge sempre su Italia Oggi – ha presentato uno studio con un titolo molto eloquente «Chi è nel mercato dei future petroliferi e come questo è cambiato?» L’analisi individua nella liberalizzazione sancita da una legge del Congresso del dicembre 2000 e nel conseguente arrivo in massa dei «non commercial traders», gli operatori speculatori non coinvolti nella produzione o nella commercializzazione del «petrolio fisico», le cause della bolla del prezzo del petrolio. Costoro hanno subito superato gli operatori tradizionali, muovendo il 55% del totale dei futures e di altri derivati stipulati e portando il rapporto di 7 a 1 tra i “barili di carta” e quelli reali trattati sul mercato Nymex di New York, Inoltre, essendo per la maggior parte dei derivati over the counter (Otc), cioè quelli stipulati bilateralmente tra privati fuori dalle regole della borsa, e negoziabili anche sui mercati esteri”.
Negli anni passati vi era stata una correlazione diretta tra le quotazioni del dollaro e quelle del petrolio e un dollaro debole spinge in alto il prezzo del petrolio.
“Gli Usa, ad esempio nel 2008, hanno importato petrolio per 331 miliardi di dollari, pari al 47% del loro deficit commerciale totale. I Paesi”, spiegano nel loro articolo Mario Lettieri e Paolo Raimondi, “produttori del Medio Oriente hanno investito in America i loro petrodollari in titoli del tesoro e partecipando soprattutto al gioco speculativo di Wall Street sulle materie prime, petrolio compreso. Un cerchio infernale che deve essere spezzato! Anche l’Italia ovviamente subisce questi andamenti speculativi. Ma nel nostro Paese abbiamo il “dono” speciale di avere il costo della benzina più alto di tutti. E almeno del 5-6 per cento superiore alla media europea. Eppure la nostra «storia petrolifera» è un’altra”.
“Nel 1959 l’Eni di Enrico Mattei”, conclude Italia Oggi, “addirittura diminuì il prezzo della benzina di 5 lire, quando ne costava 90 lire. Egli considerava l’energia, il petrolio, come motore della crescita economica al servizio dell’interesse nazionale e del bene comune. L’Eni faceva sicuramente dei profitti, ma era consapevole partecipe della strategia di costruzione del tessuto produttivo del Paese e di una nuova collaborazione internazionale. Forse sarebbe tempo di passare dalle fiction sulla figura di Mattei all’attuazione della sua politica e della sua strategia energetica ed economica”.

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