Marmitta catalitica, quanto inquini? Ce lo rivelerà una siepe

Porta la firma dell’Università dell’Insubria (ateneo di Varese-Como) un nuovo  studio sul problema emergente dell’inquinamento da metalli preziosi rilasciati dalle marmitte catalitiche delle automobili e ha per protagonista il lauro ceraso, una siepe molto comune nel Varesotto, rivelatasi particolarmente efficiente nel catturare le polveri sottili, meglio conosciute come “particolato urbano”.  Lo studio ha destato l’interesse della comunità scientifica internazionale ed è stato recentemente pubblicato sulla rivista specializzata Espr (Environmental science and pollution research). “Dal 2002 anche in Italia tutte le automobili nuove montano obbligatoriamente le cosiddette marmitte catalitiche che hanno notevolmente ridotto l’inquinamento derivante dal traffico veicolare”,  spiega il professor Alessandro Fumagalli, del Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale dell’Università dell’Insubria. ” Il cuore del dispositivo è costituito da un supporto in ceramica su cui sono depositati in film sottile, singolarmente o in combinazione, tre metalli preziosi: platino, palladio e rodio. Il monossido di carbonio, gli ossidi d’azoto e i residui d’idrocarburi mal combusti, venendo a contatto con il catalizzatore, sono convertiti nella più innocua anidride carbonica e vapor acqueo. Il rovescio della medaglia è che con il tempo e in condizioni di particolare stress (brevi percorrenze e partenze a freddo, tipiche del ciclo urbano) questi dispositivi, insieme ai gas di scarico “ripuliti”, rilasciano nell’ambiente minuscole particelle contenenti i tre metalli”. Nel laboratorio di analitica ambientale del Dipartimento di Biologia Strutturale e Funzionale dell’Università dell’Insubria, da parecchi anni è in corso uno studio per monitorare e tracciare la presenza di tali nuovi inquinanti nell’ambiente. Il fenomeno è sempre più rilevante e platino, palladio e rodio sono ben rintracciabili nelle vie più trafficate della nostra città, anche se si parla comunque di presenze che sono dell’ordine delle cosiddette parti per miliardo, vale a dire miliardesimi di grammo per grammo di polvere stradale. “Avrete sicuramente sperimentato quanto possono essere sporche le foglie delle piante ai margini delle nostre strade”, continua il professor Fumagalli, “ebbene: la semplice constatazione che certe foglie, grazie a un appiccicaticcio strato ceroso superficiale, sono particolarmente efficienti nel catturare le polveri più fini, comunemente definite come “particolato”, con dimensioni inferiori a pochi centesimi di millimetro, ha permesso di mettere a punto una procedura analitica relativamente semplice ed efficace per rivelare quantità davvero minuscole dei tre metalli. In particolare nell’area varesina si è considerato il lauro ceraso, una pianta molto diffusa nell’ambiente urbano che, per la sua natura di sempreverde, permette campionamenti durante tutto l’anno. Da un campione di foglie il particolato viene recuperato con un opportuno “lavaggio” e, dopo un trattamento chimico, sottoposto all’analisi strumentale, la spettroscopia di assorbimento atomico, una tecnica molto sensibile capace di individuare i metalli presenti in tracce”. Il lavoro fatto negli ultimi cinque anni ha permesso di evidenziare un importante recente cambiamento dell’inquinamento. Più precisamente dal 2004-2005 si è osservata una significativa riduzione di platino e rodio (oggi sempre più difficilmente rintracciabili) e un concomitante aumento del palladio nell’ambiente. Questo è dovuto a due recenti eventi: la sempre maggior diffusione delle motorizzazioni diesel (oggi circa la metà delle nuove immatricolazioni in provincia di Varese) i cui dispositivi antinquinamento non contengono rodio, e soprattutto un’evoluzione nella progettazione dei nuovi catalizzatori che ha rimpiazzato il costoso platino con il più economico palladio. Le concentrazioni di questo metallo attualmente riscontrabili nell’ambiente urbano gli assegnano di fatto il primo posto nella classifica di questi nuovi inquinanti. “Questa maggior diffusione ambientale del palladio, se non deve generare allarme, è perlomeno meritevole di attenzione”, conclude il professor Fumagalli . “Occorre infatti dire che il metallo, a differenza dei suoi più inerti confratelli platino e rodio, per il concorso di tante cause può dare, anche se sicuramente in minima parte, composti solubili in acqua. Questo potrebbe aumentarne la mobilità ambientale in modo significativo così da far presagire una possibile interazione con gli organismi viventi. A fronte delle relativamente scarse nozioni oggi disponibili sui possibili effetti tossicologici del palladio, un minimo principio di cautela impone almeno di seguire attentamente l’evoluzione del fenomeno”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *